Animali notturni: recensione del film di Tom Ford
26 Nov
La scena iniziale ricorda molto lo stile di David Lynch. Donne obese che ballano, corpi faccidi e sformati che si dimenano.
Ma Tom Ford non è Lynch (per fortuna, aggiungerei). Il suo cinema è lineare e dotato di senso anche se i significati del suo film sono molteplici e soggettivi.
Dopo sette anni dal bellissimo A single man, lo stilista texano è tornato dietro la macchina da presa con Animali notturni, film freddo ma potente, esteticamente perfetto (ma non ne avevo dubbi), violento e angosciante.
La protagonista è Susan (Amy Adams), titolare di una galleria d’arte, sofisticata, algida. Lei è il marito, bellissimo ma glaciale, fanno una vita invidiabile e a cinque stelle.
Ma lei è palesemente infelice. Un giorno, in ufficio, riceve un pacco con il manoscritto dell’ex marito, Edward, che non sente da quasi 20 anni. Alcuni flashback mostrano la loro storia e la separazione. Si amavano molto ma lui era povero e inconcludente. Condizionata dalla madre borghese, di cui pensava di essere diversa, sbagliando, Susan lo molla per mettersi con un riccone. Un errore madornale di cui si accorge troppo tardi.
Se ne accorge anche perché questo libro scritto da Edward è bellissimo e coinvolgente. Eppure quando stavano insieme Susan stroncava sempre il suo talento e i suoi tentativi di fare lo scrittore.
Il libro che legge Susan entra nel film: parla di un uomo, che ha il volto dello stesso Edward (Jake Gyllenhal), che durante un giro in macchina con la moglie e la figlia viene aggredito da una gang di delinquenti nel bel mezzo del Texas, dove non ci sono città, il telefono non prende e passa una macchina ogni due ore. Un crescendo di pathos e sangue fino alla scena finale che coinvolge sia Edward che Susan.
Il film di Tom Ford mi ha lasciato un senso di angoscia e smarrimento senza pari. Parla di scelte, rimorsi, pentimenti. Grandissimo cinema.
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