Passengers, recensione: tanto sesso, poca fantascienza
2 Gen
Negli ultimi anni, tranne la saga di Star Wars che non mi ha mai appassionato minimamente, mi piacciono molto i film di fantascienza. Tra gli ultimi titoli che ho gradito ci sono stati Gravity e Interstellar (recensione), un po’ meno The Martian (recensione). Sono andata a vedere molto volentieri, dunque, Passengers, con Jennifer Lawrence e Chris-Bisteccone-Pratt e non posso dire di aver passato due ore noiose, anzi.
Il film diretto da Morten Tyldum, già regista di The Imitation Game (recensione), parla della spedizione nello spazio di 5000 passeggeri che lasciano la Terra per andare a colonizzare una nuova galassia lontanissima. Il “volo” dura circa 120 anni, quindi i partecipanti vengono ibernati per non andare incontro a morte certa. Succede però che, a causa di una pioggia di meteoriti (sempre lei), un guasto della maxi navicella provochi la dis-ibernazione improvvisa di uno di loro, Jim, professione meccanico, interpretato da Pratt.
La sua disperazione è alle stelle, è il caso di dirlo, perché davanti a sé ha un viaggio di 90 anni quindi è matematicamente destinato a passare il resto della sua vita, morte inclusa, nella navicella dotata sì di tutti i lussi, ma totalmente disabitata. Dopo un anno di solitudine e sconforto, e dopo un lungo travaglio interiore, decide di trovarsi un po’ di compagnia. “Scongela” dunque la bella Aurora (la Lawrence), ricca giornalista in cerca di una storia sensazionale su cui costruire il suo romanzo. Lei si sveglia.
I due si conoscono, giocano a basket, si innamorano, copulano in abbondanza ma quando lei scopre che lui l’ha “svegliata”, e dunque condannata alla morte, diventa una furia. Ma c’è un’altra minaccia più imminente: a causa di un guasto, l’astronave Avalon rischia di disintegrarsi molto presto.
Passengers è molto giocato sulla fisicità (notevole) dei due protagonisti. Jennifer Lawrence in costume e in abito da sera vale da sola il prezzo del biglietto. Centrale, nel film, è la storia d’amore più che la scoperta di altri mondi. Qui la fantascienza diventa un po’ una metafora dell’amore stesso. Jim, è vero, scongela la ragazza, la sveglia, ma questo non significa necessariamente ucciderla. Significa farla vivere e darle la possibilità di conoscere l’amore, cosa che non le era mai capitato, invece di farla dormire senza emozioni. Certo, poteva “vegetare” ancora 90 anni e arrivare bella fresca su Homestead II, il nuovo mondo, il nuovo pianeta da colonizzare. Ma avrebbe vegetato, appunto, non vissuto.
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