Tremenza al cinema, recensione del film su Stefano Cucchi

30 Ago

Da Libero di oggi.

 

Giornaliste in lacrime, colleghi che si chiudevano gli occhi, smorfie di dolore. I critici cinematografici che ieri a Milano, in contemporanea con Venezia, hanno assistito all’ anteprima di Sulla mia pelle, il film di Netflix sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, erano parecchio provati durante e dopo la proiezione. Se da un lato la scena delle botte dei carabinieri al 31enne romano morto il 22 ottobre del 2009 non viene rappresentata, solo evocata, dall’ altro la telecamera insiste sul dolore.
Il viso di Alessandro Borghi, l’ attore che interpreta magistralmente Cucchi, diventa sempre più livido, il suo corpo sempre più magro e debole; in seguito alle percosse non riesce più a fare la pipì, non riesce a bere, a mangiare, a camminare e a parlare. Fa la spola dal carcere all’ ospedale, viene curato poco e male, anche se è lui stesso che a un certo punto rifiuta le cure, non vuole sottoporsi a Tac e all’ idratazione attraverso la flebo. Lo fa per protesta: il suo avvocato, l’ unico che lo può tirare fuori dal carcere, dove è finito per possesso di droga, non è lì con lui. Non c’ è la famiglia, non c’ è nessuno. È solo mentre sta per morire.

Borghi è coetaneo di Stefano quando morì, è dimagrito 18 chili in tre mesi per il ruolo. È talmente nella parte che la sua nota faccia da sex symbol si dissolve. Notevole anche Jasmine Trinca nel ruolo della sorella Ilaria, protagonista della battaglia giudiziaria che ha contribuito a fare luce sulla vicenda. Alla fine del film, 100 minuti di pugno allo stomaco, si sente la vera voce di Cucchi durante il processo. «Mi dichiaro colpevole di detenzione per uso personale», dice, «non colpevole per quanto riguarda lo spaccio». Anche nella voce, Borghi lo ha reso alla perfezione.

di Alessandra Menzani

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