Viaggio in Arabia Saudita: da Riyadh alle spiagge di Jeddah
24 Ott
Fino a qualche anno fa era impensabile vedere in Arabia Saudita donne al volante, i capelli sciolti, ristoranti in cui gli uomini da soli cenavano vicino alle signore con le amiche, o insieme nei negozi. Ed era vietato, per il Paese musulmano più inespugnabile del mondo, anche l’arrivo di turisti. Viaggi e vacanze? Impossibile.
Dall’inizio di ottobre 2019 non è più così. Per la prima volta dalla nascita del regno (89 anni fa), il ministero degli Esteri saudita ha iniziato a concedere i visti turistici: prima solo per lavoro e per visite famigliari era possibile mettere piede sul suolo arabico e le donne lo potevano fare solo con un maschio di famiglia.
Il tabù adesso è caduto.
Ed eccomi qui. Sono stata una delle prime italiane a ottenere il “permesso” per una vacanza in Arabia Saudita, ho trascorso alcuni giorni nella capitale Riyadh e a Jeddah , tra grattacieli, spiagge cristalline, immersioni e locali scintillanti. C’è ancora molto da fare perché il KSA diventi una meta attraente come, parlando di Medio Oriente, Dubai o Abu Dhabi o il vicino Oman. Ma il potenziale c’è.
Non avevo particolari pregiudizi prima di partire. Forse solo uno: me la immaginavo più arretrata. Atterro a Riyadh, la capitale in mezzo al deserto, che conta quasi sette milioni di abitanti, arrivando con un tragico volo low-cost Air Arabia con scalo ad Alexandria d’Egitto che sconsiglio a meno che il vostro budget di viaggio sia davvero ridotto.
L’aeroporto egiziano non è attrezzato per i transfer da un volo all’altro. Poi da Alexandria direzione Riyadh con la compagnia nazionale: Saudi Arabian.
In qualche modo ce l’ho fatta e al gate numero 4 del volo di domenica 13 ottobre inizio a vedere le prime donne incappucciate con l’abaya, il classico vestito tradizionale saudita che somiglia a una vestaglia, ma tutto nero. Il volo della Saudi, la linea di bandiera, lo faccio su un possente aeroplano confortevole. Sono praticamente l’unica occidentale e l’unica con i capelli (biondi) in mostra, ma non sento tutti gli occhi addosso a me. Le hostess regalano ai bambini un sacchetto di plastica con vari giocattoli; la scelta del cibo è varia, c’è anche il vegano e il dietetico, ma ovviamente sono bandite le bevande alcoliche e la carne di maiale (secondo le regole halal). A Riyadh alloggio in hotel in centro, a tre chilometri dall’ Al Faisaliah Mall . Altro passo avanti: diretta conseguenza dell’apertura al turismo è il recente permesso alle coppie non sposate di prenotare insieme una stanza d’albergo. Prima si rischiava addirittura il carcere.
Resta comunque vietato, come in ogni stato “muslim”, baciarsi in pubblico, tenersi la mano ed amoreggiare.
Una New York del deserto
La città è moderna, direi occidentale, con super strade enormi, grattacieli, mall imponenti, ristoranti di classe e deliziosi: dal giapponese all’indiano, dal libanese all’italiano, devo dire che ho mangiato benissimo.
In questi giorni nella capitale saudita si svolge Joyforum, un fiera internazionale dedicato al mondo dell’entertainment che riunisce addetti ai lavori di tutto il mondo, anche dall’Italia. Dal’ 11 Ottobre inoltre ha avuto il via il Riyadh Season, due mesi di eventi di varia natura fino al 15 dicembre. In diversi mesi dell’anno nelle diverse città a partire da giugno 2018, c’e’ il lancio di due mesi di eventi e spettacoli. Un immenso progetto della prima metro che collega le diverse zone della città ha reso il traffico urbano particolarmente difficoltoso. Sono pianificate tre linee.
Mi sono mossa da sola con Uber: l’autista pachistano, of course, mi ha portato all’ Al Faisaliah Tower che alla base ha un centro commerciale famoso e parecchio costoso. O almeno dovrebbe esserci: metà di esso è in costruzione e l’altra metà era chiusa (momentaneamente) per la preghiera. Eh già. Gli expat che vivono in Arabia Saudita imparano presto che negli orari di preghiera (variabili nei mesi) tutto chiude, dal negozio al ristorante, così scaricano una app che aggiorna sulle ore dello stop.
Al trentaduesimo piano dell’edificio c’è un bar con vista panoramica, al piano terra un bar per la pausa pranzo dei tantissimi impiegati dell’edificio. Ben più grande e variegato è il Riyadh Park Mall, il più alla moda del momento. Mi ci accompagna la mia amica saudita con cui passo una fantastica giornata di shopping e libidini culinarie.
Rasha ha studiato nelle scuole occidentali, al figlio di tre anni parla solo in inglese, porta l’abaya aperta e i capelli neri sciolti. E’ una delle donne più “libere” che abbia visto in giro. E’ sposata con un saudita divorziato che precedentemente era maritato con una cugina. Si definisce musulmana non praticante e rispettosa delle altre culture. Rasha accompagna il bimbo nel parco giochi con baby sitter all’interno del centro commerciale e insieme andiamo a un fantastico indiano, Kumar, che ha base in Kuwait.
Ovviamente, neppure il ristorante più trendy ha il permesso di servire alcool, su questo punto i sauditi hanno ancora un po’ di strada da fare. Usciamo dal mall che è quasi il tramonto, mi lascio incantare dal cielo rosa, dallo skyline con un sole grandissimo e la sagoma dell’iconico grattacielo Kingdom Center . Passiamo davanti a The Zone, un’area mondana di ristoranti e bar, poi faccio di nuovo acquisti su consiglio di Rasha.
Nel Royal Mall, centro commerciale per local, compro una bellissima abaya verde militare con pajettes per 300 rial (75 euro) che indosserò la sera al Nozomi , ristorante giapponese molto “inn”. Chiacchierando con un amico saudita molto elegante con la veste tradizionale – tunica e copricapo – ammette che al di là del fatto che è ancora sostanzialmente obbligatoria, l’abaya è anche una strategia estetica per le donne che così sono sempre a posto, anche quando non sanno cosa mettersi. E, aggiungo io, anche un capo di una certa classe: al ristorante le ragazze con tacco 12 di Salvatore Ferragamo, borsette Saint Laurent e orecchini costosi, per non parlare della pelle e del trucco perfetto, erano incantevoli e di classe. Resta il fatto che il velo è una coercizione, dunque il tema è delicatissimo. (…)
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