Due giorni, una notte, un capolavoro
6 Lug
Al cinema Colosseo di Milano danno un film di qualche mese fa, Due giorni, una notte, dei fratelli Dardenne. Sono andata e vederlo e mi ha colpito: per me è un capolavoro.
La bravissima Marion Cotillard è Sandra, un’operaia di una ditta di pannelli solari che rischia il posto. Il datore di lavoro ha messo i dipendenti davanti a una scelta: tenere Sandra (che in passato era stata in malattia per depressione) oppure ricevere un bonus da mille euro. La donna, madre di due figli piccoli e moglie, ha due giorni per convincere i colleghi a non farla licenziare. Non è facile perché mille euro fanno comodo a tutti, per alcuni, anzi, sono proprio essenziali.
Non è facile, perché il nemico da combattere, per la protagonista, non è solo il licenziamento, ma anche la depressione. Il senso di colpa per non sentirsi all’altezza, per l’essere causa della perdita di mille euro da parte dei colleghi, il senso di pietà che non ama sentirsi sulla pelle, l’umiliazione, la malattia che rende difficile battersi (“Non sono all’altezza”, “non sono in grado”, “non voglio chiedere l’elemosina”), gli psicofarmaci, il lato oscuro che rosicchia la voglia di farcela, il coraggio.
E poi ci sono le varie sfumature della meschinità umana che emergono solo quando le persone si trovano a un bivio, in questo caso la scelta tra licenziare una collega e intascarsi i soldi. Tra i colleghi c’è chi, sinceramente, non può permettersi di rinunciare a mille euro, chi ha paura del datore di lavoro e delle sue ritorsioni, chi egoisticamente non vuole fare a meno della lavatrice nuova.
Ma ci sono anche le persone coraggiose, i gesti di altruismo, la solidarietà che non ti aspetti più. E così la lotta disperata di Sandra diventa una sfida contro se stessa. E la posta in gioco non è solo un lavoro. Ma anche la dignità.
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