A Cannes il film più scabroso di tutti i tempi. Addirittura amplessi in 3D
23 Mag
La recensione di Love scritta da Luca Vinci per Libero.
Si parlava di film scandalo, e scandalo è stato. Love di Gaspar Noé era, ieri, il film che tutti volevano vedere, e per il quale c’è chi ha fatto anche due ore di fila. Tutti a far finta di niente, ma in realtà tutti curiosi. Con la voglia segreta di strappare un frammento in più a quel che sappiamo sull’ amore, e sul sesso, e sul cinema. Love, presentato fuori concorso a Cannes, dispensa – in oltre due ore di film – scene di sesso non virtuale in 3D, una storia di disperato romanticismo intrisa di fisicità, membri virili eretti, nudi per tre quarti della durata del film, eiaculazioni in soggettiva, e in 3D, verso lo spettatore. Così che quelli delle prime file, come dice la leggenda a proposito del primo film dei fratelli Lumière col treno che arrivava in stazione, hanno quasi la tentazione di scansarsi.
Gaspar Noé non ha paura di niente, cerca il sublime e flirta col ridicolo, morde il romanticismo passando dal sesso. Ma non gli si può imputare di essere avaro con lo spettatore, di cercare le mezze misure. Lui va fino in fondo. Si chiede «Che cosa c’ è di più importante nella vita? L’ amore. E poi? Il sesso. E allora, mostriamoli». E fa un primo deciso tuffo verso una categoria filmica che non esiste: il porno d’ autore. «Volevo fare un melodramma che superasse quel ridicolo confine, che dice che un film normale non debba mostrare sequenze troppo erotiche, mentre tutti adorano fare l’ amore», dice il regista. «Volevo filmare quello che il cinema può raramente permettersi, per ragioni commerciali o legali, cioè la dimensione organica dello stato amoroso».
Prima considerazione. Love non è un film furbo. Non è un film in cui le scene di sesso, i nudi, i primi piani sulle gambe, le natiche, i seni, i sessi, sono fatti per staccare più biglietti.
Certo, è vero che non ci sarebbe stato tutto questo caos, a Cannes, per vedere il film, tutte queste code, la gente che litiga per entrare, se non ci fossero state quelle scene. Ma queste scene sono dettate da una necessità sincera, da una convinzione semplice, da parte del regista: è lì che sta la nostra vita, è lì che si ritorna, in una relazione d’ amore. L’ amore è desiderio, siamo tutti corpi inquieti, che hanno bisogno di attaccarsi ad altri corpi. Siamo fatti di carne e di sangue, di pelle e di brividi, dice il film. Seconda considerazione: non è che non ci sia il cinema, che non ci sia ricerca formale, in questo film.
Tutt’ altro. Ogni inquadratura dei protagonisti, Karl Glusman, Aomi Muyock e Klara Kristin, è come disperatamente tesa verso la cattura della loro bellezza. E c’ è cinema, infine, nel film di Gaspar Noé, perché – come in Irréversible, uno dei suoi precedenti lavori, il più provocatorio – tutto viene montato come un collage di flashback, tutto va all’ indietro, ancora e ancora, e ogni tuffo nel passato dei protagonisti ci spiega, ci rivela, ci fa capire perché. Che cosa è accaduto, che cosa ci manca per comprendere il presente. E come in Irréversible, il presente – e dunque l’ inizio – è il più incandescente, il più dannato, mentre il passato è il più luminoso, chiaro, il più denso di futuro. Come quelle sequenze girate al contrario, in cui l’ acqua dalla vasca torna dentro il rubinetto, o l’ uovo rotto ritorna intero. Ecco, in questo film l’ uovo che si rompe è un amore. E il film corre fin verso i momenti in cui il guscio era intero.
Primo dell’ anno, mattino. Lui e lei, giovani, nel letto. Una bambina di due anni. Sembra tutto perfetto. Lui è carino, lei è bionda, adorabile. Arriva una telefonata: la madre di un’ altra ragazza chiede a lui se non abbia notizie di sua figlia, sparita da tempo. Teme che possa esserle accaduto qualcosa di grave. E riavvolgendo il filo dei ricordi, scopriremo di tutto. Tutto sull’ amore tra il ragazzo e questa donna. Scopriremo come la bionda sia finita nella vita di lui. Scopriremo quanto male ci si possa fare amandosi. Sarà un tuffo nell’ inferno del desiderio, ma anche dell’ alcol e delle droghe.
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