Diario di viaggio/Singapore
31 Ago
Premessa. Un po’ trash ma interessante per chi vuole visitare la Malesia. Dopo cinque giorni in questo paese ho avuto l’illuminazione. Non capivo perché tutti gli sciaquoni del bagno fossero rotti. Non uno che funzionasse, giuro. Invece l’altro giorno scopro l’arcano. Il vero sciaquone consiste in un secchio ubicato di fronte al wc: basta riempirlo con il rubinetto e versare il tutto nella tazza.
Lo so, sono belle cose. In ogni caso non mi devo più preoccupare di questa e altre “malesita’” visto che ora sono a Singapore, che è uno stato a sé.
La notte prima del volo per Singapore abbiamo alloggiato a Kota Barhu e abbiamo consumato una cena quasi commovente. Il locale era segnalato dalla Lonely che infatti non sbaglia un colpo: il posto era agghiacciante, una sorta di garage con merce di ogni tipo alle pareti, altarini religiosi, un lavandino e scatoloni vari; il gestore cinese, la risposta malese di Carlo Cracco, in stivaloni da pioggia e grambiule Maggi. Da un lato anatre appese, dall’altro un tavolone con ogni ben di Dio. Dire che era spartano è un complimento. Ma tutto buonissimo, per un totale di sei euro a cranio.
Ma passiamo alle cose serie…
Singapore. A parte che ci abbiamo messo circa un’ora e mezzo a uscire dall’aeroporto non tanto per il ritiro bagagli (per la prima volta nella mia vita sono arrivata prima io di loro), quanto per la grandezza dell’hub. In città ci siamo divisi qualche ora e ci siamo dati appuntamento al famoso Sky Park, in vetta al grattacielo di Marina Bay, la terrazza con piscina a cavallo dei tre palazzi. Ma forse pensavamo di trovarci in piazza Cavalli a Piacenza e non in un’area molto più grande. Morale della favola io in ritardissimo ho raggiunto i miei amici al piano 57. Peccato che loro fossero al 56. E peccato che tra club, piscina, bar, ristorante ecc i punti d’incontro fossero molteplici direttamente proporzioli ai pass d’ingresso manco fossimo in visita al Pentagono. Ovviamente io entro in una zona rossa ad uso esclusivo dei clienti dell’albergo e un tizio dello staff mi ha inseguito 100 metri per farmelo notare. Sì, a Singapore sono tutti un po’ come dire agitati, rigidi, ma la cosa ha ovvi aspetti positivi.
Perché a mio parere Singapore è la città più incredibile che abbia mai visto. E con incredibile includo tutti i superlativi a mia conoscenza. Moderna, divertente, ordinata, caotica, efficiente, tecnologica, folle. Da un lato i grattacieli di Manhattan, i locali e i negozi cool di Brooklyn, dall’altro il divertimento e la follia tutte orientali, però con un’efficienza svizzera o nordeuropea.
A cercarla con immane sforzo, non trovavi una cartaccia in giro, per non parlare dei mozziconi di sigaretta, anche perché fumare per strada è vietato, è consentito solo in determinate aree. Ci sono gli immensi mall (quello sotto Marina Bay ho impiegato 20 minuti a percorrerlo, e con passo sostenuto), le zone etniche come quella araba, Little India e Chinatown, cemento ma anche tantissimo verde: il Giardino botanico, con l’area dedicata alle orchidee piu variopinte del mondo e la rain forest fittissima, è una meraviglia.
La vita notturna è unica. A Chinatown ho trovato la super festa della Heineken con tavoli fuori, musica, balli, deejay e gente da tutto il mondo, come fosse il Pacha di Ibiza ma metropolitano.
All’interno Club street era uno sballo, una via con un concentrato di locali mai vista. Insomma, un brio paragonabile a Piacenza il lunedì sera.
Singapore è talmente sconvolgente che il Fulgo, per due giorni, si è dimenticato di aggiorare l’immancabile tabella delle spese sostenute con divisione dei partecipanti in decimali cambio valuta inclusa. Sarebbe come se Lapo si dimenticasse di sbagliare i congiuntivi.
Ma spendiamo una parola sul 57esimo piano del Marina Bay. Ecco, posso dire, dopo avercela finalmente fatta a raggiungere la cima, che tra vista della baia al tramonto, skyline da paura, aperitivo e djset forse quei famosi anni persi, tra incidente in canoa e abbruttimento nelle 11 ore in pullmino, sono stati recuperati. C’e stato un momento in cui tra foto, post su fb, selfie, condivisioni su wa e commenti, ho esaurito la lucidità. Oltre che la batteria del telefono.
Per quanto riguarda i negozi era da anni che non raggiungevo simili picchi di esaltazione, forse da quando andai a Londra a 14 anni per la prima volta con i miei e facevo tappa a tutti gli Accesorise di Oxford Street. O quando con ho scoprii Urban Outfitters a New York. E ho mangiato parecchio bene, sia passando dal pranzo a 5 euro – caffè compreso – in quella che sembrava una baraccopoli gastronomica di Tiong Bharu (voto dieci a una sorta di budino di riso accompagnato da una specie di ragu di carne), sia nell’unico ristorante chic della vacanza, con un hamburger con fois gras a 30 euro. Ma l’apoteosi sono stati raviolotti cinesi con il maiale e gamberi di Din Tai Fung, un posto cinese in cui i cuochi sono vestiti in tenuta anti Sars e la cucina è a vista. Questa è civiltà. E poi i bagni puliti quasi ovunque, le piscine e a sfioro, i sottopassi che brillano, la riflessologia, i massaggi, le creme con i cristalli di oro (essi, l’ha presa Valentina, la vendono solo in Giappone e negli States, era scontata, eppoi fa miracoli conclamati). Forse erano molti giorni che facevamo una vita spartana quindi un po’ di sfacciato benessere ci voleva… Singapore è cara, ma pensavo peggio. I taxi sono molto meno esosi di quelli di Milano, anche se in effetti ci vuole poco.
Dicevo che i singaporesi sono piuttosto rigidi. Da segnalare oltre all’episodio sul tetto dello Sky Park quello che succede nell’abitacolo di un taxi. Quando il conducente schiaccia troppo sull’acceleratore viene cazziato da una scritta sul tablet che recita “moderare velocità”. Ma se il risultato è una città che è una macchina perfetta e oliata, che forse sembrerà un po’ finta, ma se presa con lo spirito giusto è un grande luna park per adulti, allora va tutto bene. Da tornarci sicuramente.
No comments yet