Congelare gli ovuli, inchiesta: da Brigitte Niesen alla storia di Francesca
28 Lug
“Come ho fatto a diventare madre a 54 anni? Ho congelato gli ovuli quando ne avevo 40”. Lo ha detto Brigitte Nielsen (per approfondire, leggi qui), che lo scorso 22 giugno ha partorito il suo quinto figlio in un’età non più giovanissima.
Ma cosa vuol dire, per una donna, congelare gli ovuli? Cos’è la crioconservazione, o social freezing? Qualcuna ne ha sentito parlare, ma poche sanno davvero quanto può essere utile. In Italia, almeno, è un argomento poco trattato e pochissime ricorrono a questa opportunità.
L’orologio biologico ce lo dice, ci assilla, e la famigerata campagna dell’ex ministro della salute Beatrice Lorenzin, anche se maldestramente, lo voleva sottolineare. A differenza degli uomini, l’età riproduttiva della donna è limitata del tempo e questo spesso condiziona le nostre vite, le scelte. Oggi, per svariate ragioni – immaturità, lavoro, stabilità economica, assenza di un partner, distrazione – le donne tendono a posticipare il momento in cui decidono di fare un figlio, e quando lo decidono dopo i 40 spesso è difficile realizzare questo sogno.
Orologio biologico e fertilità
Un metodo per “posticipare” l’età riproduttiva e farlo con serenità ci sarebbe, è una specie di “assicurazione”, ma in Italia non è supportato dal Servizio Sanitario Nazionale, non è conosciuta, promossa, e soprattutto costa tanto. E’ la crioconservazione. E’ solitamente associata alle donne malate di cancro, e in questo caso lo passa la mutua. Quando viene diagnosticato un tumore al seno, spesso i medici consigliano alla donna il prelievo di un determinato numero di ovuli, cosicché quando si sono terminate le cure (che rendono impossibile una gravidanza) di solito dopo 5 anni, quando la riserva ovarica è ridotta, si possono utilizzare i propri ovociti, se conservati per tempo.
Secondo una ricerca della Yale University, riportata nell’ultimo numero di Grazia, su 150 donne intervistate sulla motivazione che le ha spinte a conservare gli ovociti, circa l’85% spiega che non ci sono ragioni di carriera, ma una situazione sentimentale sfavorevole.
All’estero c’è più conoscenza del tema. Negli Stati Uniti, tante trentenni decidono di crioconservare i gameti per usarli più in là nel tempo. E’ quasi la norma. In Inghilterra il Sistema Sanitario passa questa procedura, in Italia no. Costa circa 3000-3500 euro, più duecento euro di “deposito” ogni anno. Spesso serve farla più di una volta. Prima si fa, meglio è, perché gli ovuli sono più giovani, quindi spesso più “fertili”. Ma si può fare anche dopo i 35 anni. Brigitte Nielsen lo ha fatto a 40.
La storia di Francesca
E’ importante, secondo me, permettere che questa opportunità sia più conosciuta. Per questo racconto la storia di Francesca, una mia cara amica. “Ho desiderato un bambino da quando avevo circa 32 anni ma non ho mai trovato un compagno, anzi un compagno che condividesse il mio sogno”, mi racconta Francesca, che vuole condividere la sua esperienza. “Poi c’è stato un lungo periodo di solitudine. A 37 anni, ancora senza un progetto riproduttivo imminente, ho deciso. Se avessi conosciuto prima l’esistenza della crioconservazione, l’avrei fatta”. Solo da poco i media se ne occupano. “Se il mio ginecologo mi avesse parlato di questo metodo, o qualche giornale, o sito, avrei iniziato a pensarci. Sono una persona aggiornata e istruita, ma solo a 36/ 37 anni ho capito che questa sarebbe stata una scelta che mi poteva dare una certa tranquillità”.
Francesca è andata all’Humanitas Fertility Center, uno dei poche strutture pubbliche a Milano, insieme al San Raffaele Centro Natalità, in cui eseguono questa pratica anche alle donne non malate oncologiche. A Roma c’è l’Istituto Alma Res Fertility Center, di cui parlerò più avanti.
Ma torniamo a Francesca. “Dai primi esami, è emersa una cosa che non sapevo. La mia riserva ovarica era ridotta, non quella di una 37enne ‘normale’. Quindi, perché fosse efficace, avrei dovuto fare almeno tre volte la crioconservazione, per raggiungere una raccolta di ovociti di almeno 15, che statisticamente è utile per il buon fine di una eventuale Pma, procreazione assistita”. Congelando gli ovuli, una volta scongelati per essere usati, corrispondono all’età anagrafica della donna al momento del prelievo. “E questa è un’idea incoraggiante”. “Purtroppo però quella cifra non l’ho mai raggiunta perché le cose non sono andate molto bene. Ne ho raccolti molto meno, ma sempre meglio di zero”, aggiunge Stella. Inevitabile lo scoraggiamento emotivo, che peraltro gioca un ruolo.
E poi va detto che non è come andare a fare un prelievo di sangue o la pulizia dei denti.
La procedura
La procedura la conoscono bene tutte le donne che si sono sottoposte a una procreazione medicalmente assistita per arrivare a una gravidanza. E’ più o meno la stessa. Punture di ormoni, costanti monitoraggi (circa quattro), una stimolazione della durata variabile di circa due settimane, fino a 16 giorni: dipende da quanti ovociti vengono prodotti dai follicoli e quanto sono grandi.
Racconta Francesca: “Tante cose possono andare storte, a me sono capitate quasi tutte. Un medicinale (costosissimo) che non ha provocato una giusta risposta, un’ ovaia che non ha lavorato, gli ovociti che non crescono. La cosa psicologicamente più annichilente, secondo me, più che le punture in sé sono stati i monitoraggi. Mi sentivo come sotto esame: l’ecografia transvaginale continuava a darmi responsi poco simpatici, ma non per tutte è così. A volte andavano benino, e uscivo dall’Humanitas con un briciolo di speranza nel cuore. Sono state settimane dure, momenti tristi, umilianti quasi, e tanti mi dicevano di smettere”.
Ma Francesca è andata avanti: “Credetemi, l’ipotesi di aver il rimpianto per non averlo fatto, l’idea di diventare sterile un giorno (usiamo le parole corrette) erano ipotesi assolutamente più tremende. Ho dunque scelto di andare avanti”.
Poi c’è il giorno del prelievo, il pick up. Che non è come un esame del sangue. Arrivi digiuna in ospedale, indossi il camice, ti danno un miorilassane per tranquillizzarti, poi vai in sedazione profonda. “Dieci o quindici minuti in cui dormi, non senti nulla, ma a differenza dell’ anestesia totale non sei intubata. Il ginecologo preleva quello che c’è da prelevare. Nel mio caso poco, e in un secondo momento scopro che non tutto di quel poco poteva essere conservato”. Comunque, meglio di niente.
Alcuni dati
Francesca, a distanza di diversi mesi, ha congelato i suoi ovili di nuovo, per un totale di tre volte. Ha voluto a tutti i costi raccontare la sua esperienza perché questa pratica sia più conosciuta possibile. Oggi all’Humanitas solo una donna, ogni mese, ricorre a questa opportunità. Poche lo sanno, e i costi sono importanti. Qui gli ovociti vengono conservati in laboratorio fino ai 50 anni della paziente. Il direttore scientifico dell’Alma Res Fertilty Center di Roma, Pasquale Bilotta, interpellato da Grazia spiega: “Cinque anni fa le donne che si rivolgevano a noi si contavano sulle dita di una mano. Seppur tra mille ostacoli, abbiamo iniziato a fare divulgazione e le cose sono cambiate”. Nel 2017, sono 42 le donne che sono andate all’Alma Res a conservare da 8 ai 10 ovociti”.
La crioconservazione è una sorta di assicurazione sulla fertilità femminile
La testimonianza di Brigitte Nielsen, che ovviamente può scatenare polemiche e opinioni contrarie a maternità in età avanzata, può aiutare a fare conoscere il tema. Spero che questo mio contributo possa essere utile.
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