Indro Montanelli, un documentario da vedere
23 Lug
Ieri, 15 anni fa, moriva Indro Montanelli. Uno dei pochi giornalisti leggendari che abbiamo in Italia, nato a Fucecchio ma milanesissimo. Su Sky Arte è andato in onda un documentario, domani 24 luglio in replica alle 13.
Indro. L’uomo che scriveva sull’acqua è un gran bel lavoro, realizzato da Samuele Rossi, prodotto da Echivisivi e Alkermes con il sostegno del MiBACT e Caipirinha. Ci sono i filmati d’archivio, tante testimonianze e le pagine dei giornali, le parole, gli articoli che hanno reso unica e inimitabile la prosa e lo spirito di un giornalista che vedeva nel lettore il suo unico e indiscutibile padrone.
Gli attori Roberto Herlitzka e Domenico Diele interpretano Montanelli maturo e Montanelli giovane. Ecco, forse Herlitzka, con il suo timbro da attore e l’aria solenne, è troppo retorico. E se una cosa Indro non era, era proprio retorico.
Questo è l’unico appunto che faccio al documentario, in cui c’è dentro tutto. L’infanzia, l’ubriacatura del Fascismo, che poi rinnega, la depressione che ha ereditato dalla madre, che ha anche odiato per averlo contaminato con questo male che si ripresenta puntale ogni sette anni da quando era molto piccolo. “La depressione era l’unica presenza del trascendente nella vita di Montanelli, quasi una vendetta del trascendente”, nota Tiziana Abate, firma de Il Giornale.
Parla del “piacere di spiegare agli altri quello che io stesso non comprendo, un piacere che non mi ha mai abbandonato”. A volte un po’ inventava, dice qualcuno, ma senza mai tradire la verità.
Ci sono gli anni gloriosi del Corriere, poi il licenziamento dal quotidiano di Via Solferino, che si è spinto troppo a sinistra, la fondazione de Il Giornale, l’attentato contro di lui delle Brigate Rosse, Tangentopoli, l’arrivo di Silvio Berlusconi che lui ha sempre definito il “migliore di tutti gli editori” fino al divorzio finale. Silvio pretendeva che, con la discesa in politica nel 1994, il suo organo lo supportasse; ma Montanelli non ne voleva sapere.
Un pranzo di addio in via Rovani, e poi fonda la Voce. Che però durerà poco; un’impresa coraggiosa ma fallimentare. In quella redazione c’era anche un giovanissimo Travaglio. Il direttore del Fatto Quotidiano è una delle voci del documentario, insieme a Severgnini, De Bortoli, Confalonieri, Paolo Mieli. Quando parla della morte del suo mentore, che gli comunicò al telefono Gian Antonio Stella, gli occhi di Travaglio brillano.
E io mi faccio la mia idea sul perché il direttore del Fatto odi tanto Silvio Berlusconi. Forse Travaglio individua in quel divorzio forzato di Montanelli, suo mito e modello, dal Giornale da lui fondato, quella separazione obbligata ma dolorosa dalla sua creatura, quando ormai aveva superato gli ottanta anni ed era debole, l’inizio della fine di Indro. Un colpo da cui non si è mai ripreso.
Ps. Esilarante, Travaglio, quando descrive il Berlusconi degli anni ’80, parvenue, con camicia a punta e cravattone da Chicaco degli anni ’30.
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