Irrational man: Woody Allen non al suo meglio, ma lo amo sempre

15 Dic

Premessa. Io nel giudicare i lavori di Woody Allen non sono obiettiva. Divento come Vincenzo Mollica quando parla dei film o dei dischi italiani: per lui sono tutti capolavori. Bene, Irrational man mi è ovviamente piaciuto tantissimo, l’ho gustato e l’ho atteso, amo quando Woody Allen filosofeggia e parla del senso (inesistente) della vita, sottoscrivo le sue convinzioni dalla prima all’ultima, pur riconoscendo che questo  non è tra i film migliori del mio idolo.

Irrational man – nelle sale dal 17 dicembre – è un film alla Match Point, è cupo e c’è un delitto, anche se c’è meno tensione rispetto al film del 2005 e un pizzico in più di humor. E le conclusioni sono esattamente all’opposto della pellicola ambientata a Londra.

Qui siamo a Providence. Un professore di filosofia (Joaquin Phonenix) è depresso, svuotato, vive alla giornata senza scopo né voglia di stare al mondo da quando la moglie lo ha lasciato e il suo migliore amico è morto in Iraq. Insegna filosofia (e qui c’è tanto, tantissimo Woody Allen, il suo nichilismo e il pessimismo cosmico), da Kant a Kirkegaard, anche se dice che la filosofia è “masturbazione verbale”. “L’ansia è la vertigine della libertà”, aggiunge.

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Non riesce nemmeno a fare sesso, né con l’arrapata collega (Parker Posey) né con la fresca studentessa (Emma Stone). Fino a quando accade un fatto. Scopre di nuovo il senso  della vita, la gioia di stare al mondo, uno scopo: aiutare una povera madre e la sua battaglia legale per non perdere i figli per colpa di un giudice corrotto. Decide di ammazzare il giudice, di trasformare il mondo in un posto migliore, di fare una scelta secondo lui morale, mica come tutti quei trattati di filosofia che non servono a nulla: questo gli dà uno scopo, un senso. Sì, si tratta di un omicidio, ma per lui il fine giustifica i mezzi.

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Non vi dico come finisce. Ma l’idea che la vita non abbia un senso e sia governata dal caos di Woody Allen, che condivido totalmente, è presente, presentissima. In Match point c’era quell’anello, metafora della pallina da tennis, che poteva andare al di qua o al di là dalla rete, per motivi totalmente casuali, senza un disegno. Qui, al posto dell’anello, c’è una piccola torcia rotonda. Esito diverso. Ma sempre, inesorabilmente, governato dal caos. Come la vita stessa.

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