Tremenza in Viaggio / In barca alle Eolie (e il fascino della bassa stagione)
11 Giu
Le coincidenze mi piacciono. Arrivo in Sicilia il 31 maggio mentre leggo le bellissime pagine di Lena e La Tempesta, il nuovo libro di Alessia Gazzola. La protagonista arriva in Sicilia proprio il 31 maggio. L’aria è ancora freddina, i turisti sono pochi e la ressa dell’estate è ancora lontana.
Io vado alle Eolie, Lena a Levura, nome di fantasia che forse sta per Levanzo, ma poco cambia perché i profumi sono gli stessi, il cibo scalda il cuore e quella che sto per vivere è una avventura che non dimenticherò.
Inizio una vacanza in barca a vela, che come tutti sanno ha pro e contro. E’ una grande prova di convivenza, è la seconda della mia vita: dieci anni fa andai 15 giorni in Croazia ad agosto e il ricordo che conservo è piacevole.
Primo giorno – Stranamente riesco a dormire bene in barca, con tappi e mascherina, pigiama pesante, doppia coperta di lana, praticamente ad Aspen sarei meno imbacuccata.
Si parte da Siracusa con il cielo nuvoloso e temperature sotto la media, in pantaloni della tuta e giubbino di pile totalmente inadatto al vento (“Te lo avevo detto”, sarà il tormentone di questa settimana).
Paolo, il proprietario della barca, gentilmente decide di fare una prima tappa per me a Taormina, visto che non ci sono mai stata. Molto carina, vivace, piena di negozi, parecchio turistica, non faccio fatica a capire perché piaccia tanto a tedeschi ed americani. In uno dei tantissimi ristoranti dotati di terrazze panoramiche mangio una pizza alla Norma (con melanzane) e capisco che restare nei miei (ex) 57 chili sarà un proposito fallimentare.
Secondo giorno – La traversata è importante: 12 ore per arrivare a Lipari. La barca parte alle 6, io mi sveglio alle 7 con una tazza di caffè caldo in mezzo allo stretto di Messina; cielo grigio, pioggerella.
Per fortuna non soffro il mal di mare. I tempi in barca sono dilatati, il cervello si stacca anche perché sei fisicamente “staccato” dalla civiltà; pensate, mi è successo addirittura di dimenticare per diverse ore di avere un telefono. Me ne ricordavo solo perché il panorama imponeva lo scatto di alcune fotografie, non per altro.
I pranzi in barca si fanno in rada o in navigazione, di solito un bel piatto di pasta, ho addirittura cucinato un frittatone modello Fantozzi davanti alla tv con prosciutto e caciotta che ha meritato un misero sei. Lipari è carina ma un po’ trascurata, ci sono soprattutto tedeschi e inglesi. La sera ceniamo dal delizioso Ciuri Ciuri, sulla via principale: ottimo il fritto misto e gli involtini di pesce spada.
La mattina mi ha svegliato una granita al caffé senza panna (“Eh no, si prende con la panna”, redarguiscono gli amici siciliani) con brioche. Come molti sanno, le granite siciliane sono cremose, diverse da quelle nordiche, la classica è quella alla mandorla.
Eroicamente abbiamo fatto un bagno: l’acqua era ibernante, avevo i polmoni in gola, ma il richiamo era irresistibile. Ho preso anche lezioni di vela, in barca, ma qualcosa mi dice che non sono tra le allieve più brillanti: per capire, non dico fare, un nodo “parlato” ho impiegato trenta minuti, però la barca, quando abbiamo veleggiato, non l’ho portata male. Come tutte le cose, voglio approfondire.
La sera ci avviciniamo a Panarea, dove passeremo la notte. Senza dubbio mi è entrata nel cuore. Curata, semideserta, raccolta: la più piccola delle isole eoliane è un bijoux tempestato di bei negozi, cactus, strade strette e case bianche. Poterla visitare all’inizio di giugno in barca è un privilegio: ad agosto l’isola, e in generale le Eolie, sono caldissime, senza vento, un carnaio.
Giorno quattro. La sveglia a Panarea è comodamente fissata alle 10, vinco la mia pigrizia con qualche altra nozione di vela, pranziamo con pasta eoliana (una specie di aglio e olio ma con erbette di vario tipo), tentano di mettere in moto il tender, io ozio, mi immergo sempre di più in Lena e la Tempesta dove mi stupisco dei parallelismi tra le giornate siciliane dal libro e le mie.
La sera arriviamo a Salina, la più verde delle isole, la nostra truppa si arricchisce di alcuni amici che hanno casa lì e altri che saliranno in barca con noi. Gente che va e gente che viene.
A otto chilometri dal porto di Santa Marina di Salina, a Malfa, c’è l’idilliaco hotel e Spa Signum, dove facciamo un aperitivo in collina dalla vista spettacolare. Bevo una variante del Moscow Mule, presentato come se fossimo da Cracco, l’Amara Mule.
La cena stellata l’ho evitata, ma se volete festeggiare un anniversario venite qui. La cuoca è la più giovane stellata d’Italia.
Grazie alla complicità di un ex collega che viene a Salina sin da bambino, ho potuto conoscere angoli più intimi dell’isola. Come una tipica cena eoliana al ristorante La Cannata di Lingua, con pesci tipici, panelle con totani e ceci, pasta con pomodorini e ricotta affumicata e vino bianco locale. C’eravamo solo noi.
Giorno cinque – Colazione in paese, granita, spesa per la barca, e poi un altro bagno. Ovviamente l’abbiamo fatto a Pollara, la leggendaria spiaggia del film Il Postino con Massimo Troisi ambientato proprio a Salina. L’acqua era pungente.
Direzione Vulcano. Mi viene in mente che c’ero già stata in giornata oltre un decennio prima. Ho rifatto le fumarole: sono bagni storici nell’acqua termale bollente altamente consigliati per chi ha problemi di pelle. Peccato che abbia puzzato di solfatara per giorni.
La sera, cena a Vulcanello dove divoro un piatto che evocavo da giorni, la cotoletta alla palermitana. Buona la birra Messina con granelli di sale.
Giorno sei – Il triste giorno arriva: il giro delle Eolie sta per terminare, siamo al giro di boa. Si torna indietro con una nuova tappa a Taormina che ho potuto rivedere. Tra l’altro, forse diventerò famosa in Giappone: ci siamo imbattuti in una specie di reality in cui due, probabilmente i Belen e Stefano De Martino d’Oriente, visto il nutrito codazzo di fotografi al seguito, passeggiavano per le strade della località seguiti dalle telecamere. Io ero dietro di loro a fare photobombing.
Dopo Taormina, dodici ore di traversata stavolta con il sole ma con vento freddo. Ho preso il timone e tanta aria alle cervicali: il mio collo non so se mi perdonerà. A Siracusa la barca si ferma: qui riposerà in attesa di nuove avventure.
Giorno sette – Torniamo sulla terraferma, ho il mal di terra che dura ancora oggi, faccio un po’ la turista. L’estate è esplosa con tempismo perfetto, a Siracusa ci sono 35 gradi, a Noto 37. E’ una cittadina splendida. Ho amato anche Ibla a Ragusa, stavano girando un episodio di Montalbano ma purtroppo ho mancato per un soffio Luca Zingaretti (sto perdendo colpi).
Con l’auto presa in affitto entriamo nel cuore della Val di Noto, molto bella, meditativa, rilassante, percorriamo anche stradine sterrate perché ricordo che qui in zona c’è una cascina dove organizzano di ritiri di yoga e meditazione. Voglio andare a curiosare, ma quando arrivo nel posto scopro che è semi abbandonato. Busso alla porta del B&B che ormai ha cessato l’attività. Mi apre una signora scozzese, la proprietaria, e mi spiega che sta vendendo, che suo marito è morto di recente, si commuove, mi dice “That’s life”, ci diciamo “Namastè” e ci salutiamo.
Il vero sogno è Marzamemi, un paesello di pescatori adorabile, rilassante, poetico. Tutto è sistemato in con ottimo gusto come in un luogo fiabesco, dai menu dei ristoranti alle insegne dei negozi.
Dopo un bicchiere di vino con vista sul porticciolo, nella grande piazza avevo solo voglia di una grande insalata verde con semi e frutta di vari tipi, finalmente qualcosa di leggero. Ma al ristorante Liccamuciula vi raccomando anche le polpette di acciughe. Forse però in assoluto il piatto che ho amato di più è stato quello della sera prima a Ortigia, tentacolare quartiere di Siracusa. Da Macallè è spaziale la cotoletta di pesce spada ma non sono male neppure i gnocchi con cozze e vongole sempre nello stesso ristorante.
In una ex tonnara ho fatto un ordine che mi dovrebbe arrivare a giorni: vini, acciughe, tonno, cioccolato di Modica.
Come avete capito, il cibo è stato il grande protagonista, insieme alla bellezza della Sicilia, all’aria sulla faccia, ai bagni gelidi e alle sessioni di vela. E alle persone speciali: stare da soli è bello, a volte è un privilegio, spesso una lezione di vita, ma il bello del viaggio è condividerlo con le persone. Se speciali, meglio ancora.
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