Fleishman a pezzi, perché è la serie che tutti i quarantenni devono vedere

7 Apr

di Alessandra Menzani

“Non è solo una serie tv, è letteratura”. Ha ragione la scrittrice e sceneggiatrice Alessia Gazzola a elogiare Fleishman a pezzi, la serie più bella del momento disponibile nella piattaforma Disney Plus. Più bella a cominciare da una voce narrante femminile (nell’originale, Lizzy Caplan) così perfetta, vellutata, pungente, che non sbaglia un tono, una parola, una sottolineatura. La serie s’ispira al best seller d’esordio di Taffy Brodesser-Akner (pubblicato da Einaudi Stile Libero), un libro sempre a metà tra la tragedia e la farsa. 

Racconta il crollo psicologico di Toby Fleishman (Jesse Eisenberg), il protagonista: bravo marito, bravo padre, bravo medico epatologo, bravo cittadino e consumatore di cibo sano. 

Il divorzio da Rachel è freschissimo: lei è l’esatto contrario, anaffettiva, acida, interessata solo a soldi e posizione sociale, malata di lavoro, interpretata da una Claire Danes ancora più fuori di testa della Carrie Mathison di Homeland, il ruolo più famoso. Lui si sta appena appena riprendendo dalla fine di 15 anni di matrimonio grazie a una importante dose di sesso occasionale rastrellato nelle varie app di incontri quando puff, l’ex moglie scompare nel nulla (per settimane) lasciandogli i due figli da gestire nel mezzo dell’estate newyorkese.

Le cose vanno prima male e poi malissimo, anche se siamo nell’Upper East Side e nel week end si va negli Hamptons, e Toby decide di riprendere i contatti con due vecchi amici dell’università che aveva abbandonato perché non abbastanza altolocati per l’ambiziosa moglie: Libbi, che poi è la Caplan della voce narrante, e Seth, eterno festaiolo e scapolone.

 Entriamo quindi anche nelle loro vite, accomunate dal fatto di essere tutti quarantenni in crisi per vari motivi: chi è sposato con prole è infelice, chi è solo e senza responsabilità è depresso, un grande classico. “Crescere vuol dire morire”, sentiamo. Libbi era una giornalista di una testata maschile che sognava di scrivere una grande storia la cui carriera non decolla mai, nemmeno dopo 15 anni, così decide di licenziarsi ed essere solo una casalinga del New Jersey che fa zumba e si organizza entusiasmanti serate con le altre mamme. Il marito è un avvocato, adorabile e pure gnocco, dunque non si capisce bene di cosa si lamenta ma si lamenta. Il denominatore comune della serie è appunto questo: non troviamo qui la solita narrativa seriale e cinematografica di donne virtuose, madri coraggio, femmine che lottano contro la mafia, sante, suore, figure beatificate contro maschi prepotenti, maniaci sessuali e traditori. Il contrario: Toby e il marito di Libbi sono praticamente due santi, sanno amare, ci sono sempre; le mogli no, anche se alla fine in qualche modo capiamo il perché di tante ferite, e questo le rende così vere e interessanti che la serie si divora in una notte (anche perché il mistero è sempre lì: dove è finita quella str..a dell’ex moglie?). 

Questo ribaltamento della retorica è la ragione della scelta registica di proporre all’inizio di ogni puntata l’inquadratura di Manhattan sottosopra? Vogliamo pensare di sì. Le prove attoriali sono eccellenti tutte a cominciare da Jesse Eisenberg, già volto non proprio simpatico all’inventore di Facebook Mark Zuckerberg nel film The Social Network.

Fleishman è a pezzi, serie di altissima qualità, è la radiografia di un divorzio annunciato, arrivato “come la caduta di Roma, prima poco alla volta e poi tutto insieme”, sulla difficoltà di crescere e sull’elaborazione del dolore. Azzeccata la battuta di una delle amanti del protagonista: “L’essere divorziato non ti rende meno sposato”.

Se ci aggiungiamo l’innegabile atmosfera alla Woody Allen che si assapora nei dialoghi, nelle nevrosi, nelle vie di New York così piene di vita oltre che nel font che richiama i titoli di testa e di coda di ogni pellicola del regista di Io e Annie, il risultato finale è uno spasso. Ce ne fossero.

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