Gone Girl: bel film, ma con dei punti oscuri

19 Dic

Nick: “E’ vero, ci siamo amati, ma adesso siamo dominati dall’odio”.

Amy: “Si chiama matrimonio”.

Questo è uno dei dialoghi che racchiude meglio il senso di Gone Girl. Ho visto il film ieri sera, due ore e più che  tengono incollati  allo schermo, un thriller ben costruito, inquietante ed appassionante. Ma…
Nick e Amy erano una coppia invidiata. Abitavano a New York City, erano affermati e belli. Innamorati, complici. Poi arriva la crisi, perdono il lavoro e si trasferiscono nel Missouri. Lei diventa una casalinga disperata, lui un alcolista. Praticamente si odiano. Il giorno del quinto anniversario di matrimonio, lei sparisce nel nulla. Le indagini scoprono una macchina di sangue in cucina, spunta un’amante di Nick. Che agli occhi dell’opinione pubblica, complice il sorriso di lui e qualche selfie, diventa l’indiziato numero uno. E lo pensa anche la polizia. L’America lo odia, mentre Amy appare come la vittima, la moglie perfetta e sfortunata. Nick decide di rilasciare un’intervista in tv alla Barbara D’Urso Usa. Guarda la telecamera e implora la Nazione di aiutarlo nella ricerca della moglie. Dice di amarla. Mente. Ma intanto  l’America cambia idea. Lo ama.

GONE GIRL
Il punto di vista cambia. Diventa quello di Amy, e qui mi fermo per non rivelare troppo. Ci sono punti che francamente non capisco, come la presunta gravidanza di lei. Ma il centro della storia è il matrimonio: che si fonda sulle bugie, la finzione, i sospetti, e la voglia di dare un’immagine di perfezione e felicità. Rosamunde Pike è straordinaria e punta all’Oscar. Ben Affleck non è male. Credo che leggerò il libro di Gillian Flynn del 2012 per capirne di più. 

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