Professione tato: boom di uomini che vogliono fare i baby sitter

9 Apr

di Alessandra Menzani

Saranno gli affitti troppo cari? Un disperato bisogno di soldi? La fine del machismo? La parità? Sicuramente è un mix di tutto questo che porta alla scoperta – tutto sommato non spiacevole – che oggi anche gli uomini sono pronti a rompere uno dei tabù più incrostati nella società e si candidano a svolgere uno dei mestieri storicamente appiccicato all’universo femminile: la tata.

Lo deduciamo dall’importante quantità di aspiranti baby sitter che si offrono per cambiare pannolini e fare i compiti nei vari siti e app dove si cerca personale domestico a Milano, laddove fino a un anno fa era impossibile trovare un soggetto di sesso maschile.  L’accudimento non è più una prerogativa femminile, così come andare in guerra non è più cosa solo per maschi. Per arrotondare, per fare esperienza, per arrivare a fine mese, per passione, perché tutto sommato dieci euro l’ora sono più di una paga da cameriere, gli uomini si rimboccano le maniche. Sono italiani, stranieri, studente, pure laureati. “Sono paziente, affidabile, attento ai dettagli”, di presenta Alonzo, 23 anni, aspirante tato, che vede questa esperienza un po’ come un master alla Luiss, si presenta con foto profilo in giacca e cravatta, “credo che lavorare come babysitter mi aiuterà a sviluppare abilità di comunicazione e gestione del tempo che saranno utili alla futura carriera e vita quotidiana”.

In fin dei conti Barak Obama iniziò la sua carriera come gelataio alle Hawaii, Silvio Berlusconi come venditore porta a porta, Harrison Ford come carpentiere: tutto fa brodo. Alonzo ha anche un certificato di primo soccorso, è disponibile per cucinare, cura anche 3 bambini insieme, quasi meglio di una puericultrice diplomata.

Ovviamente gli inglesi arrivano sempre prima: li chiamano “manny”, mescolando le parole man, che significa uomo, e nanny che significa tata, ed esistono da oltre dieci anni. Sono i baby sitter maschi, che si trovano su piattaforme dedicate, come ad esempio My big Buddy, creata nel 2006, oppure la più recente Manny and me.

Da noi spopola la app Sitly, sito specializzato che mette in comunicazione più di 900mila persone tra baby sitter e famiglie. Mohammed, studente 21enne, parla arabo e inglese fluente e si dice disponibile anche per bambini da 0 a tre anni, la fascia più delicata e impegnativa. Per ora ha due recensioni, entrambe entusiastiche. 

“Oltre a occuparmi di bambini, cucino anche benissimo e preparo pasti sani e deliziosi”: Ramin, 26 anni, laureato in Pianificazione Urbana al Politecnico di Milano, punta a conquistare le mamme in cerca di aiuto con le gioie del palato. Mossa astuta. Non ha nessuna esperienza, però, ma parla inglese (madrelingua), tedesco e persiano. 

Che non solo le donne ormai cambino i pannolini è realtà, lo vediamo nei reparti maternità degli ospedali. C’è chi va oltre: in Colombia, una delle società dove il machismo è imperante, per avvicinare gli uomini alle donne e migliorare la società hanno istituito un corso dove i maschi imparano in tre mesi a cambiare i pannolini, ascoltare gli anziani, pulire, cucinare, fare la raccolta differenziata.

Quindi non ci dovrebbe sorprendere più di tanto il boom degli aspiranti baby sitter. Però una certa sorpresa, o magari diffidenza, è impossibile da non provare. “So che un ragazzo è più difficile da accettare”, scrive il candidato-tato Giulio, 24 anni, studente di ingegneria al Politecnico, “ma penso veramente di essere una persona molto sensibile e brava con i bambini e spero di poter diventare più un fratellone acquisito piuttosto che un baby sitter”. Ha la patente e parla inglese, gioca, cucina, racconta storie. E’ disponibile anche il week end. Vale la pena di provarlo.

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