Tremenza in viaggio / Il Sud della Francia in quattro giorni

3 Mag

I giorni di Pasqua, quelli intorno al 25 aprile o al primo maggio sono un “classicone” per una mini vacanza nel Sud della Francia. E quest’anno ci sono caduta pure io.

E’ un’area geografica vicina all’Italia, si mangia bene, ci sono arte e storia, ci si va comodamente in auto. Ma non io, eh no. Per ottimizzare i tempi, ho scelto l’aereo e non nascondo la sorpresa, per non dire il terrore, quando ho visto il velivolo marca Twin-Jet, senza bagno, 19 posti in totale, e con vista frontale alla pista d’atterraggio. Per fortuna non ho paura di volare, non l’ho mai avuta.

Milano-Marsiglia, e poi mare. La Grande Motte è una località dalle grandi costruzioni bianche molto anni Settanta, retrò, quasi felliniana, in cui non c’ è molto a parte una ruota panoramica, gente coraggiosa che fa kite-surf e una bella mostra di catamarani che ho visitato.

Molto accogliente, affacciato sul mare e con ottimo ristorante: l’unica notte qui l’ho passata all’hotel La Plage Art et Emotion, dove c’è anche la Spa. Il menu del ristorante si conclude con un mix di formaggi francesi che ciao.

Dall’Occitania, sempre in auto, ho visitato in un paio di ore il centro di Montpellier, città molto giovane, universitaria, con bei negozi e caffè. I francesi del sud – non lo sapevo – sono molto più simpatici dei parigini (non ci vuole molto, in effetti): pensate un po’, addirittura ti rivolgono la parola. L’inglese, invece, raramente lo parlano.

La cosa più inaspettata, e che più ho gradito di questi quattro giorni è stato il Pont Du Gard, impressionante ponte romano a tre piani conservato benissimo e imponente. È a circa un’ora da Montpellier, direzione nord-est.


Finalmente, dopo il ponte vedrò la famosa Camargue con le sue spiagge, i fenicotteri rosa, i cavalli e le zanzare. Ad aprile già ci sono. Ho alloggiato in un hotel très chic, con una padrona gentilissima. Il nome è davvero strano, Mangio fango. La signora ha spiegato che non è una parola italiana ma si tratta dell’antica lingua francese, facciamo che le credo, e si riferisce a un particolare vento della zona.


Ho accuratamente evitato il massaggio da 150 euro, ma non ho detto di no a una seduta nell’idromassaggio all’aperto con una brezza gelida che mi accarezzava la cervicale già acuta.

La sera abbiamo cenato in uno dei ristoranti della vicinissima Saites-Maries-de-la-mer, affascinante e gitana, luogo simbolo della Camargue: chevre chaude (formaggio di capra caldo) con vino rosé e la tipica bistecca si toro, piatto immancabile della zona insieme alle ostriche e alle cozze alla crema. Io, allergica all’aglio, facevo lo slalom tra i menu.

Il giorno dopo, che poi era l’ultimo, sono tornata in sella a un cavallo dopo 20 anni per una classica passeggiata nella laguna camarguese che, secondo mio padre, “è come andare nella valle di Comacchio”. Ho anche galoppato in assetto aerodinamico, mi sono divertita molto. Poi doccia, valigia e di nuovo in auto.

Siamo capitati per caso nell’antico borgo di Uzès, un paesino che si visita in mezz’ora, dove ho pranzato con una buona quiche alle zucchine e insalata e mi sono rifatta gli occhi guardando i negozi e le gallerie d arte. Uzès è una specie di Pietrasanta francese, “forse più bella”, ha tuonato il mio accompagnatore. E mi è seccato non poco dargli ragione, cosa che faccio spesso.


Era giunto il momento di dirigersi verso l’aeroporto di Marsiglia per depositare la macchina a noleggio e ritornare. Ero già stata dieci anni prima ad Arles, ma nessuna forza al mondo mi ha potuto impedire di tornarci, visto che ci si passava davanti. Giusto il tempo di un caffè davanti alla notevolissima Arena romana e di andare nel bagno di un bar per scoprire che in Francia lasciano tutti la porta senza girare la chiave: se è semplicemente chiusa, significa che è occupato. Buono a sapersi.

L’aeroporto di Marsiglia (che purtroppo non ho visto) era a un’ora circa di distanza. Il nostro intimo aereo da 19 posti ci stava aspettando.

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